Vuoi buoni motivi per entrare in farmacia? Prova questi

Tra i motivi per cui un farmacista acquista un prodotto, lo sconto non è il primo e non è quello prevalente.

Banalizzare il rapporto che il farmacista ha con gli sconti è un errore: possono essere anche alti, ma se il prodotto non ruota – o non ha opportunità di essere promosso al banco con fiducia – non è sufficiente a convincerlo all’acquisto.

Ho già parlato delle ragioni che inducono il farmacista all’acquisto e alla relativa promozione di un determinato prodotto. Il margine, la richiesta e l’opportunità commerciale sono elementi necessariamente coesi tra loro.

Anche in questo caso, ricorrere a un esempio è modo più immediato. Prendiamo il caso di un probiotico.

Il probiotico più efficace, prescritto dal medico di zona, costoso  ma che realmente ha una altissima concentrazione, risulta ad alta opportunità promozionale. Viceversa il prodotto in pubblicità, con un basso sconto, è ad alto ricavo.

Dei prodotti probiotici, quindi, ne conserva a scaffale diversi, fin troppi, che occupano uno spazio eccessivo. Di questi ne ha a cuore due: quello che si vende tanto e da solo; e quello che si vende poco, ma sul quale punta per il consiglio professionale.

In farmacia usare il multichannel farmaceutico significa mettere insieme e ben quattro elementi: le richieste ricevute e l’opportunità promozionale, con il margine e lo scaffale.

L’informatore porta valore per i pazienti al medico e per i consumatori al farmacista, chiarendo le motivazioni che devono portare alla scelta del proprio prodotto a beneficio dell’utente. L’agente fa proposte commercialmente vantaggiose e con il numero corretto di confezioni, in modo che ruotino con il massimo utile per la farmacia.

Le farmacie stanno cambiando modelli, sfida peraltro che stanno affrontando in tanti.  Oggi nascono, crescono, chiudono, falliscono: sono una vera impresa, a cui portano valore per i propri clienti. Non puoi vendere loro solo sconti.

Entrare in farmacia come informatore significa saper capire cosa il nostro interlocutore intende dare al paziente o consumatore. L’ISF fornisce al farmacista (titolare a o al banco) le competenze per affrontare la terapia con la migliore soddisfazione del paziente. L’ISF che prova a fare proposte commerciali sta scimmiottando l’agente senza averne le competenze e le esperienze.

L’ISFdeve mettere il paziente al centro anche in farmacia. Oggi lo fai veramente?

Il ROI dei progetti di marketing farmaceutico innovativo: senza alchimie

Il ROI non è fisica nucleare, non è alchimia, non c’è trasmutazione dell’atomo: se entrano soldi, soldi devono uscire. Se nei progetti di marketing in generale questo viene sempre ricordato, in quelli innovativi è necessario saper fissare gli obiettivi ed i benchmark.

La misurazione è spesso la chiave per rianalizzare il progetto per eventuali scale-up.  La definizione dei Key Performance Indicator, è l’occasione per verificare l’allineamento agli obiettivi strategici, la correttezza delle azioni. In particolare dalla nostra esperienza definire insieme gli obiettivi è l’occasione per concordare con il Cliente il livello di soddisfazione e sottoscrivere contrattualmente i premi.

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Nello spending review: generici vs branded?

Secondo quanto raccontano le cronache le cose sarebbero andate così: il governo, more solito, usa la sanità farmaceutica come un bancomat. Ma la lobby dei farmacisti, consapevole che non era possibile far fare marcia indietro all’Esecutivo, nel chiedere una contropartita al balzello, hanno puntato ad un aumento della quota del consumo di farmaci generici, col chiaro intento di  recuperare una parte delle perdite. Le notizie giornalistiche sono ballon d’essai: il medico può prescrivere solo il principio attivo, salvo rare eccezioni. La risposta però non si fa attendere: medici e industrie fanno pressione affinché il decreto cambi col risultato di ottenere una legge che inizialmente appare complessa da interpretare perché sembra  collidere con quanto annunciato. E per quanto riguarda l’effetto? Al momento ci segnalano:

– errori nei software di gestione dello studio medico. Le software house provando ad interpretare e anticipare hanno rilasciato modifiche che obbligavano i medici a scrivere solo principi attivi,

– riunioni di ciclo in cui il tema principale era l’interpretazione autentica della legge,

– acerrime discussioni su DottNet, il social network dei professionisti della sanità, tra medici e farmacisti.

A valle di questa legge l’elemento che resta certo è che il peso del medico, come detentore della prescrizione e del suo orientamento, è destinato ad accentuarsi nonostante i crescenti paletti.  Le numerose aziende di generici che, molto prima del “Decreto Abruzzo”, avevano abbandonato completamente l’informazione scientifica alla classe medica per orientare i propri investimenti esclusivamente sulla attività commerciale in farmacia, ora stanno rivalutando le proprie scelte. Il ruolo della distribuzione del farmaco è diventato crescente e nei piani di marketing va messa in evidenza la posizione e la collocazione che ha. E ciò non cozza con l’aumentata influenza del medico.

Per prevedere gli sviluppi, abbiamo provato a testare il sentiment di alcuni manager sia con competenza sul mercato dei generici che branded. L’opinione sembrerebbe sintetizzabile in pochi punti: si aprono dei varchi giuridici per la vera equivalenza dei prodotti tra originator e equivalente, con l’aumentare della quota di generico potrebbe essere possibile che le regioni creino delle gare al ribasso.

Sul primo punto, in effetti la bioequivalenza è stata spesso fatta all’estero con brand diversi da quelli in vendita in Italia, e prima del mutuo riconoscimento, questo comporterebbe, in linea di principio che l’ente autorizzativo Italiano dovrebbe redigere, come negli Stati Uniti, un “orange book” di equivalenza diretta.

Per il secondo punto, vista la volontà di contenere la spesa e visto che questa norma non agisce su questo fronte, le regioni potrebbero sentirsi autorizzate a fare delle gare regionali al ribasso nelle quali la azienda genericista che vince avrebbe un prezzo più basso e gli altri pagherebbero un “ticket”.

Cosa impedirà ad ogni azienda che ha prodotti branded di fare al proprio interno un equivalente a marchio generico e far presentare questo alla classe medica? Il ruolo del GP e del farmacista ne usciranno certamente mutati, anche per i diversi vincoli sia prescrittivi che nella vendita.

Il marketing farmaceutico si trova a maneggiare un mercato sempre più complesso, che non ha regole universali, che richiede per ogni area terapeutica e per ogni brand una riflessione ed una progettualità specifica. La complessità crescente della legislazione insieme con gli elementi incerti legati alle nuove modalità di comunicazione richiede di costruire all’interno dell’azienda nuove competenze, anche con l’innesto di expertice provenienti da altri settori, che siamo in grado di maneggiare contemporaneamente le nuove regole, le nuove tecnologie e le nuove strategie.

Le strategie devono prevedere una azione congiunta e coordinata con più canali su più target, con diverse modalità operative per prodotto ed area terapeutica; si è aperta una nuova fase, certamente  enigmatica e complessa, certamente più divertente.

Salvatore Ruggiero

Un secchio d’acqua fresca che inquina il pozzo

Una passeggiata serale nelle vie del centro mi ha dato modo  di constatare come il commercio nei momenti di difficoltà può, con poche e inappropriate mosse, inquinare la propria fonte di reddito: il consumatore. Due settimane fa, ovvero quasi quindici giorni prima dell’inizio dei saldi estivi, ho dato un’occhiata alle vetrine. La stragrande maggioranza  dei negozi aveva già esposto, in modo più o meno palese, lo sconto sulla merce, in barba all’inizio dei saldi. Gli operatori commerciali credono che eludendo le regole possano ricavare profitti maggiori?

Le foto sono di un singolo tratto di strada.

Per un secchio d’acqua fresca, per un giorno di saldi anticipati fuori norma, magari per  un paio di prodotti venduti scontati, i commercianti stanno inquinando il pozzo della credibilità ed hanno minato la fiducia nel prezzo fisso fino a fine stagione. Il pozzo inquinato non darà più acqua fresca, a causa di un secchio d’acqua tirato su al momento sbagliato.

Il motivo del saldo è chiaro: all’approssimarsi di una nuova stagione la moda cambierà e i prodotti resteranno invenduti. Finita la stagione i prodotti rimasti in magazzino rappresentano  un costo fisso che la svendita  permette di smaltire velocemente con l’obiettivo di ottenere ricavi da ciò che era diventato un inutile immobilizzo.

Quando però gli sconti sono anticipati ed eccessivi provocano nel consumatore una perdita di credibilità e soprattutto una forte contrazione dei profitti senza un significativo incremento di vendite. Vediamo perché:

1° effetto: il consumatore dovrà attendere meno  per avere la merce a prezzo di saldo e ciò genererà una rincorsa a chi inizia prima gli sconti. La credibilità del sistema, di conseguenza, crolla e così per arraffare il minimo di profitto senza il rischio di arrivare per ultimi,  ogni commerciante si sentirà in obbligo di avviare una campagna prima degli altri, con un circolo vizioso senza limite. Dal fronte del consumatore s’innesca un altro meccanismo vizioso, ovvero si alimenta, con lo sconto, un’aspettativa di ulteriori ribassi col risultato che si ritarda l’acquisto, come spesso accade nell’elettronica di consumo e nell’automotive.

2° effetto:  a parità di  vendite, con un mark up del 200% applicare uno sconto del 50% fa crollare il mark up al 50%, conservandone tuttavia i  costi e facendo crollare il margine complessivo. Poiché i saldi non fanno vendere di più, ma aiutano ad esaurire il magazzino, la merce venduta puntando solo sulla quantità  resta invariata ed i margini crollano.

Lo sconto è, dunque,  un’arma pericolosa nel marketing, può inquinare il pozzo dove preleviamo l’acqua provocando l’impossibilità di far risalire il prezzo, come è successo per  alcuni prodotti  distrutti, in termini di profitti, da aziende che hanno ritenuto di abbassare i prezzi con l’assoluta certezza di non poterli più aumentare.

Nel farmaceutico, dove il mercato è fortemente  ingessato, prima di abbassare i prezzi domandiamoci se aumenteremo i nostri volumi in maniera stabile e se il mercato è davvero elastico. La forte contrazione dei prezzi è un’arma che non arricchisce nessuno, nemmeno il consumatore che invece è tutelato da una corretta concorrenza. Il prezzo, e lo sconto, è un’arma per raggiungere fatturati che va usata solo in casi molto particolari e limitati.

Quando facciamo uno sconto alla distribuzione intermedia, ad esempio, siamo sicuri che raggiunga la farmacia e poi il consumatore?

Siamo ragionevolmente sicuri che questo non provochi solo un push ai distributori e che questi non ne facciano profitto vendendoselo tra colleghi?

Abbiamo messo in moto uno strumento di controllo della filiera (tipo trasfer order) per garantire che questo sconto raggiunga almeno la farmacia?

Di quanto farà aumentare le vendite in modo stabile e continuativo presso il farmacista se non possiamo tracciare dove sarà applicato?

Lo stesso mancato profitto è stato un costo puro che ha avuto un grande impatto sul margine complessivo: non si poteva investire in attività promozionali o investirne una minima parte per tenerne sotto controllo il percorso?

Non sotto il mio regno

Da anni l’argomento del lento cambiamento del mercato farmacia e delle abitudini mentali dei titolari tiene banco. La gran parte delle volte però le acute riflessioni sull’adattamento alle dinamiche del mercato “consumer e grande distribuzione” e quelle di evoluzione dei servizi resi dalla farmacia al cittadino, si scontrano.

Vorrei mettere in evidenza alcuni aspetti recenti.

L’affluenza alla fiera Cosmofarma appena conclusa è stata largamente inferiore a quella degli scorsi anni e l’attrattiva e l’interesse che gli operatori e gli investitori hanno avuto non ha ripagato gli sforzi commerciali.

L’iniziativa decisamente astuta di farmaCHL, con la spedizione di una missiva a tutti i farmacisti paventando aperture nelle contiguità di ogni singola sede farmaceutica  (pubblicata a fianco) lascia sinceramente sorpresi.

L’apertura di oltre 3.500 farmacie e più nel brevissimo volgere del prossimo anno grazie al decreto in corso. (vedi il dettaglio in filmato)

Il decreto “delisting” che di fatto ha lasciato le parafarmacie fuori dal mercato includendo solo pochi otc alla lista dei prodotti che sono vendibili nei corner.

Il decreto servizi del 16 dicembre 2010 che avrebbe potuto spingere nella direzione del progressivo cambiamento della modalità in cui la farmacia approccia il proprio territorio ed il cittadino paziente, che è invece resto nella gran parte dei casi, sulla carta inapplicato.

Il numero crescente di farmacie in difficoltà finanziarie a causa: dei ritardi di pagamento delle strutture sanitarie, una riduzione generale dei margini lordi, una pressione di continua crescita delle immobilizzazioni di magazzino, la contrazione del credito.

Le facoltà di farmacia da sempre non formano in modo sufficiente sui temi della gestione aziendale gli studenti futuri titolari e collaboratori.

Ebbene tutti questi elementi concreti, che vanno oltre la mia valutazione personale, possono essere letti con una chiave comune.

La farmacia che non cambia in un mercato che è  in mutamento viene messa in difficoltà.

La necessità di guidare imprenditorialmente l’azienda farmacia è un must e le competenze commerciali e gestionali non le sono proprie. Nei prossimi anni il processo di accelerazione porterà nuove difficoltà e nuove opportunità in farmacia. I titolari e le aziende farmaceutiche ne sono consapevoli ma operano come se ciò non dovesse avvenire sotto il proprio regno e attendono segnali ancora più evidenti. I prossimi saranno più preoccupanti ed il regno sarà in pericolo.

Il marketing discutibile

“Il marketing è morto in quanto sono esaurite le due condizioni che lo nutrivano: primo, che le persone non potessero parlare facilmente e direttamente tra loro, secondo, che il canale di trasmissione fosse concentrato, semplice e direttamente controllabile”. Questo è quanto afferma Gianluca Diegoli nel suo gustosissimo manualetto di [mini]marketing dal titolo “91 discutibili tesi per un marketing diverso”. Diegoli in qualche modo lancia una sorta di monito alle aziende e al tempo stesso traccia un punto della situazione molto chiaro e lucido circa lo stato attuale del marketing e delle sue leve.

Proviamo a discuterne la prima. E’ indubbio che, fino a qualche tempo fa, il canale di comunicazione con il consumatore fosse concentrato, semplice e direttamente controllabile. Infatti, con uno spot, trasmesso all’ora giusta e sulle tre reti televisive, si era certi di raggiungere la quasi totalità del mercato. Quindi si  realizzava lo spot, si caricava la distribuzione ed il prodotto si vendeva da “solo”. Questo, mutatis mutandis, era quanto avveniva nel farmaceutico. Dalla casa madre giungeva un prodotto,o di ricerca o di licensing, talvolta su target nuovi e non visitati, il budget ed il posizionamento. Il lavoro del marketing era quindi quello di suddividere la spesa in field e supporto allo stesso, caricare la distribuzione e analizzare i dati Ims. Progettare, per il marketing molto tradizionale era individuare le aree di supporto alla rete con azioni sui KOL, congressi, gardget.

Il costo del canale della field force e la difficoltà di raggiungere il target ha segnato la differenza nel marketing attuale. Oggi anche disponendo di una nuova linea di prodotti, nessun manager potrebbe più operare in tal modo: non ci sono budget sufficienti e soprattutto non vi sono previsioni di ricavi tali da garantire sufficienti ritorni. Nello scenario attuale è chiaro quindi che è possibile gestire un prodotto maturo, o in fase di lancio, o supportare una specialità già promozionata, solo con un giusto marketing mix che includa tutti i possibili strumenti disponibili nella propria “cassetta degli attrezzi”.

Come spesso accade, alcuni analisti sbagliano previsioni, quando si fanno strada nuove tecnologie: c’è chi aveva  previsto la scomparsa della carta quando è cominciata la rivoluzione del PC (oggi si consuma più carta di prima) e l’abbandono delle email quando è iniziato facebook (famosa l’errata previsione del NYT). Allo stesso modo, sia per semplicità, sia per profitto, oggi sembrano essere presenti due filoni di pensiero: chi ritiene che nulla si possa lanciare o supportare senza una field force massiccia e chi ritiene che oggi non occorra più alcun isf.

Dall’esperienza che stiamo vivendo appare invece evidente la poco originale analisi, che per un mondo più complesso, per mercati più complessi, occorre un mix di strumenti, che bisogna saper maneggiare.

In occasione del lancio di un nuovo prodotto,una multinazionale che ha adottato severo modello di misura, ha progettato con noi un piano articolato, che ha visto in campo una rete di isf in CSO (contract selling organization) con una copertura contenuta (meno di un quarto del target), la quota restante è stata visitata con phone-detaling. I contenuti dell’ e-detailing erano sia contenuti promozionali che scientifici con report congressi e fad.

Ad entrambi le reti (quella frontale e quella remota) è stato dato un progetto di e-detailing, che aveva anche una sua invitation autonoma.

Con circa un terzo del budget necessario alla copertura integrale con rete di isf frontale, si è potuto visitare il 75% del target con una media di 6 visite l’anno oltre ad una quota di FTE effettuata via e-detailing.

Il successo è quindi venuto dall’integrazione proprio dei canali che Diegoli opportunamente segnalava come incontrollabili. È vero quindi che oggi i canali sono più complessi ma da questo nascono nuove opportunità di marketing.

Il marketing non è morto, è anzi più vivo che mai, se si rinnova.